Negli ultimi anni è esplosa nelle organizzazioni internazionali la tendenza a commissionare canzoni a scopo pedagogico. Con questo genere si è cimentata anche una furoreggiante rapper egiziana, che ha messo la sua voce al servizio del cambiamento sociale

Ultimo aggiornamento: 18/03/2024 12:22:55

L’abbiamo visto in modo evidente nei precedenti episodi di T-arab e si tratta forse di due delle affermazioni più banali sulla musica e la politica: «le canzoni sono sempre portatrici di un messaggio» e «anche la musica non politica è politica». Questo però non solo ai tempi di Fayrouz, con il suo brano di qualche episodio fa.

 

La canzone araba contemporanea continua a essere utilizzata come strumento di sensibilizzazione sociopolitica. In particolare, questo uso della musica come strumento di cambiamento sociale è ampiamente impiegato dalle organizzazioni non governative, enti di cooperazione internazionale o organi intergovernativi come l’ONU. Qualche esempio?

 

Canzoni per sensibilizzare su temi come la cura dell’ambiente; i diritti fondamentali delle persone; la cura di alcune malattie, come il cancro al seno; i pericoli e le sofferenze a cui vanno incontro gli emigranti , e, ultimamente, testi per sensibilizzare le persone all’igiene personale in risposta alla pandemia Covid-19.

 

Senza parlare di uno dei temi più attuali, sia nel mondo arabo sia altrove: la condizione femminile. L’UN Women, in italiano l’Entità delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne, nell’ultimo decennio, ha finanziato praticamente ogni anno dei progetti musicali ingaggiando i migliori cantanti della regione. Solo per citare alcuni esempi: nel 2012, UN Women cerca la collaborazione degli artisti palestinesi DAM e Amal Murkus per comporre un brano che condanni il delitto d’onore; nel 2014, per la Giornata internazionale della Donna, esce il brano One Woman nella sua versione araba, interpretato da artisti del calibro di Abir Nehme (Libano) Oum (Marocco) Macadi Nahhas (Giordania), Rasha Rizk (Siria); nel 2015, sempre UN Women commissiona il brano Kān yā mā kān (“C’era una volta”) della cantante tunisina Ghalia Benali, che descrive le difficoltà che le donne devono affrontare nella vita quotidiana; ma UN Women ha anche commissionato canzoni sulle molestie e lo stupro, sulla parità di genere (Nour, nata nel 2016 dalla collaborazione di Zap Tharwat, Amina Khalil e Sary Hany; Ana Zalameh, “Sono un uomo”, interpretata nel 2018 dal palestinese Bashar Murad), sull’accesso all’istruzione, in particolare delle bambine e, recentemente, sul congedo di paternità.

 

Segui la playlist di T-Arab su Spotify: esplora i brani degli episodi passati e scopri quelli in arrivo 

 

Il risultato è spesso una canzone orecchiabile e dal testo semplice, con un video estremamente curato e spesso di qualità, rivolto a un pubblico potenzialmente “mondiale” (ad esempio attraverso una vasta scelta di sottotitoli in diverse lingue).

 

Un “prodotto” a volte esplosivo e realmente efficace, come le canzoni per incoraggiare alla partecipazione alle elezioni in Tunisia del 2011 (con la partecipazione di una nostra vecchia conoscenza, gli Armada Bizerta) e a quelle in Egitto del 2014 (mezzo miliardo di visualizzazioni su YouTube!); oppure un prodotto tacciato di “semplificazione”, “calato dall’alto”, “astorico”; o ancora un semplice flop di ascolti, con la canzone (e il suo messaggio) che finisce presto nel dimenticatoio.

 

La canzone di oggi, Mesh Hastanna (“Non aspetterò”, 2020), è stata scelta perché uno degli esempi più recenti ed emblematici di quanto esposto finora. Il progetto è firmato infatti da Musawah (“uguaglianza”), un movimento globale iniziato in Malesia nel 2009, che lotta per l’uguaglianza e la giustizia nella famiglia musulmana, finanziato dal Programma regionale per gli Stati arabi di UN Women, e realizzato nell’ambito del programma “Uomini e donne per l'uguaglianza di genere”, a sua volta finanziato dalla SIDA (Agenzia svedese per la cooperazione internazionale allo sviluppo).

 

A livello di ascolti e popolarità, il brano non è stato un grande exploit, nonostante la fama e la bravura degli artisti: è infatti il frutto della cooperazione tra la rapper egiziana Felukah, l’illustratrice siriana Rama Duwaji e il fratello di Felukah, Malik El Messiry, il compositore del brano. Tutti e tre residenti a New York.

 

In particolare, Felukah, da quando è entrata nella scena musicale nel 2018 con il suo hip hop/R&B, ha fatto furore. Con un esplosivo uso della lingua, tra inglese e arabo, è stata salutata dalla stampa come «l'artista neo-soul che porta il Nilo a New York» e come una fonte di ispirazione per le donne egiziane. Ha dichiarato di voler ritornare in Egitto e contribuire a una scena musicale in forte evoluzione, e di voler continuare a lavorare su questi temi “sociali”, a cui ha dedicato altre canzoni e sui quali, afferma, c’è molta strada da fare nel suo paese d’origine. Ma il Cairo non è New York, e sarà interessante vedere se e come si evolverà in Patria la carriera di un’artista che è stata definita capace di riconfigurare il destino del rap arabo allineandolo con la ricca storia femminile della musica araba.

 

Buon tarab!

 

Canzone: Mesh Hastanna

Artista: Felukah

Anno: 2020

Nazionalità: Egitto

 

 

Scorri verso il basso per leggere il testo tradotto in italiano e l'originale arabo.

Qui tutte le precedenti puntate.

 

Le opinioni espresse in questo articolo sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente la posizione della Fondazione Internazionale Oasis
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Oasiscenter
Abbiamo bisogno di te

Dal 2004 lavoriamo per favorire la conoscenza reciproca tra cristiani e musulmani e studiamo il modo in cui essi vivono e interpretano le grandi sfide del mondo contemporaneo.

Chiediamo il contributo di chi, come te, ha a cuore la nostra missione, condivide i nostri valori e cerca approfondimenti seri ma accessibili sul mondo islamico e sui suoi rapporti con l’Occidente.

Il tuo aiuto è prezioso per garantire la continuità, la qualità e l’indipendenza del nostro lavoro. Grazie!

sostienici

 

 

Non aspetterò

 

Certi giorni sento che il mondo gira contro di me

E mi chiedo: «Da dove viene quest’ingiustizia? E perché contro di me?»

Dio mi ha donato la tua stessa dignità

Sono sveglia, cosciente, capace

Perciò non aspetterò! I problemi non si risolveranno da soli

 

C’era una ragazza di nome Sultana

Storie (di vita) in un edificio[1]

L’han fatta sposare con suo cugino

Una vita difficile

Senza amore né affetto

La società intera e pure sua madre

Le davano contro

Senza misericordia né compassione[2]

 

Già che ci sono te ne racconto un’altra

Ce n’era un’altra che si chiamava Hoda

Per tutta la sua vita ha pensato

Che per accedere al Paradiso dovesse compiacere suo marito

Giorno dopo giorno,

cucinando e pulendo l’universo intero

fin quando ha scoperto che suo marito aveva sposato una seconda moglie

dell’età di sua figlia.

La donna non riusciva a credere

Come un sistema possa servire l’uomo

e distruggere la vita di una donna

Come un sistema possa servire l’uomo

e distruggere la vita di una donna

 

Non voglio aspettare

Nemmeno un secondo

C’è violenza, (pure) in un luogo sicuro

Non dire una parola

Ne abbiamo già sopportate parecchie

È tempo di nuovi pensieri

                          

Un secondo, aspetta, aspetta

Ho appena iniziato, non ho finito

Amo la (mia) gente,

ma non posso certo negare

Tutte le prove che una donna affronta

Intendo sia fuori casa che

nell’ambiente domestico

al lavoro o a scuola

 

Abbiamo visto ingiustizia e dolore

Dove sono i nostri diritti?

Quand’è il nostro turno?

Il tempo è scaduto

Per tutta la nostra vita abbiamo atteso questo giorno

 

Certi giorni sento che il mondo gira contro di me

E mi chiedo: «Da dove viene quest’ingiustizia? E perché contro di me?»

Dio mi ha donato la tua stessa dignità

Sono sveglia, cosciente, capace

Perciò non aspetterò! I problemi non si risolveranno da soli (x2)

 

 

مش هستنى

 

أيام باحس

إن الدنيا ماشية عكسي

وبسأل نفسي

الظلم جاي منين وليه ضدي؟

كرمني ربي زيّك

صاحية وفايقة وشايلة

بس مش هستنى

المشاكل مش هتحل نفسها

 

كان في بنت اسمها سلطانة

حكاوي في العمارة

اتجوزت ابن عمها

بقت حالتها صعبة

مفيش حب ولا مودّة

حتى كل المجتمع

وأمها

الاثنين واقفين ضدها

مفيش رحمة ولا جدعنة

 

إضرب واحد في اتنين

واحدة تانية اسمها هدى

طول حياتها فاكرة

إن دخول الجنة ترضي جوزها

يوم بعد يوم

تطبخ وتنظف كل الكون

أما لاقت جوزها اتجوز واحدة ثانية

حسابه فوق

بنت في سن بنتها

الست مش مصدقة

إزاي نظام يساعد راجل

ويأذي دنيا عندها

إزاى نظام يساعد راجل

ويأذي دنيا عندها

 

مش عايزة استنى

ثانية واحدة كمان

شفت عنف في مكان آمان

متقوليش كلمة

اتحملنا إحنا كتير

وقت تفكير جديد

 

ثانية ثانية

لا استنى

لسة بادية ماخلصتس

عندي حب لناسي

بس برضه مش حاطنّش

البلاوي اللي الست بتشوفها

الكلام ده برّه البيت

وحتى جوّة بين العيلة

أو في الشغل والمدرسة

شفنا ظلم وبهدلة

فين حقوقنا

إمتى دورنا

الوقت انتهى

طول حياتنا إحنا مستنين اليوم ده

 

أيام باحس

إن الدنيا ماشية عكسي

وبسأل نفسي

الظلم جاي منين وليه ضدي؟

كرمني ربي زيّك

صاحية وفايقة و شايلة

بس مش هستنى

المشاكل مش هتحل نفسها (2x)

 


[1] La traduzione ufficiale in inglese recita più liberamente: “complex stories in an apartment complex”.

[2] Si tratta di un termine in egiziano colloquiale (gad‘ana) che indica proprio “compassione” e “pietà”.

Tags