Alcuni fattori, in primis la conoscenza dell’italiano, favoriscono i contatti tra i maroniti di Milano e la comunità ambrosiana. Con l’aiuto di San Charbel

Ultimo aggiornamento: 22/04/2022 09:54:44

«Don Asaad, sei pronto a fare il giro della Lombardia»? Questa domanda, che nel 2014 il cardinal Angelo Scola rivolgeva a don Asaad Saad, precedeva l’erezione della “Missione con cura d’anime per i fedeli cattolici di rito maronita” in pieno centro di Milano. Dal 20 novembre di quell’anno i maroniti, fino ad allora sparsi su tutto il territorio della Diocesi – di qui la domanda sul “giro della Lombardia”– sono inseriti nella vita della comunità pastorale “Santi Profeti”, che comprende la chiesa dedicata di Santa Maria della Sanità in via Durini.

Inizialmente la reazione della comunità locale ambrosiana alla presenza maronita in centro città, a poche centinaia di metri dal Duomo, è stata un misto di stupore e timore, racconta a Oasis don Asaad. «Chi sono i maroniti? Sono cattolici? La loro Messa è valida anche per noi ambrosiani? Queste domande erano molto frequenti nei primi mesi, addirittura c’era chi, dopo aver visto alcune scritte in arabo sul portone della chiesa, si domandava se fosse stata data in gestione ai musulmani. Ma ora è molto diverso e tanti ci sono grati perché abbiamo riaperto la chiesa di Santa Maria della Sanità, prendendocene cura». In soli quattro anni la comunità maronita e quella milanese si sono conosciute, lasciandosi reciprocamente “contaminare” in uno spirito che ben si sposa con le intenzioni del Sinodo “Chiesa dalle genti” indetto dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini.

Il cammino di apertura a cui il Sinodo minore invita, spiega don Asaad, è molto sentito dai fedeli maroniti perché alcuni fattori spingono naturalmente questa comunità a essere disponibile all’incontro con l’altro.

 

L’aspetto linguistico

 

Il primo fattore, uno dei più importanti, è quello linguistico. Prima che ai maroniti di Milano venisse affidata una chiesa, i fedeli, che parlano perfettamente italiano, erano inseriti nella vita delle parrocchie dei vari comuni in cui vivono. «Molti sono professionisti, dottori, ingegneri e architetti, parlano benissimo l’italiano e – anzi – mi correggono quando faccio un errore», ci racconta don Asaad. La conoscenza dell’italiano – che per altre comunità di migranti resta un problema serio – elimina una potenziale barriera all’incontro. «Anche la lingua che utilizziamo per celebrare la liturgia segue questo doppio canale: la Messa dovrebbe essere celebrata in arabo e aramaico, la lingua di Gesù, ma abbiamo introdotto l’italiano per alcune parti – ad esempio l’omelia, nel 95 percento dei casi. Questo ci aiuta nel rapporto con i fedeli di rito ambrosiano, ma anche con alcuni membri della nostra comunità maronita che, magari di seconda generazione, non parlano più l’arabo», dice don Asaad.

La comunità, poi, è ancora in fase di costituzione e dunque non risente delle rigidità che alle volte si creano involontariamente nelle realtà strutturate da decenni.

 

L’aiuto di San Charbel

 

Don Asaad, come moltissimi cattolici, maroniti e non, è devoto di San Charbel Makhluf (1828-1898), monaco maronita del Monte Libano che Paolo VI volle elevare agli altari alla vigilia della chiusura del Concilio Vaticano II, il 5 dicembre 1965. Nel 2016, don Asaad organizza una celebrazione per la festa del santo libanese, che cade il 24 luglio. È in quell’occasione che scopre che la devozione nei confronti di San Charbel è diffusa anche tra alcuni fedeli milanesi. Grazie anche all’impegno dei volontari che organizzano le celebrazioni e i rinfreschi che le seguono, San Charbel è diventato motivo di unione tra la comunità libanese e milanese, che partecipa con un numero sempre maggiore di fedeli.  

Alcuni momenti della messa rimangono naturalmente in arabo e siriaco, ma questo non impedisce ai fedeli italiani di seguire lo svolgimento della celebrazione: don Asaad ha fatto stampare 400 libretti con testo a fronte arabo-italiano, per permettere a tutti di non perdersi. Il rito maronita aiuta: «È un rito orientale semplice, che nella sua struttura è paragonabile al rito ambrosiano e romano».

 

La diversità interna

 

Un ultimo fattore favorisce lo spirito d’apertura della comunità maronita: la diversità interna. Insieme al sacerdote della chiesa copta, la cui liturgia però è più difficile da seguire, don Asaad è l’unico prete cattolico di lingua araba presente a Milano e questo spinge molti immigrati cristiani del Medio Oriente a partecipare alla vita della comunità maronita: «Al nostro interno abbiamo una grande differenza linguistica, di riti e nazionale. Abbiamo libanesi (melkiti cattolici e maroniti), siriani, iracheni, giordani, egiziani e fedeli provenienti dalla Terra Santa. Dal punto di vista organizzativo questa è una grande sfida, anche per via dei conflitti politici che attraversano il Medio Oriente, ma ci spinge all’apertura verso la comunità ambrosiana, consapevoli della nostra diversità interna. A livello pratico, dunque, quello maronita è un modello per tutti», un esempio di un meticciato vissuto all’interno della Chiesa.

Tags